Il Pozzo. Primo capitolo.

Il comitato di benvenuto.
Aveva lo spigolo di un qualcosa di duro che gli premeva sul fianco e, schiacciato sulla faccia, qualcos'altro di più morbido, che gli rendeva difficile persino respirare. Era bendato, quindi non poteva capire di cosa si trattasse esattamente: poteva essere una natica, una pancia, forse una grossa tetta, ma di sicuro puzzava di sudore da far vomitare. In realtà, aveva cose un po' dappertutto che, insieme ai legacci, lo costringevano in una posa scomposta. Come se non bastasse, qualcuno degli altri passeggeri, una donna, piangeva e singhiozzava senza soluzione di continuità e un altro tizio guaiva di dolore e rantolava imprecazioni. Doveva trattarsi di quel coglione che aveva sputato in faccia ai carcerieri: se l'avevano ridotto male, se l'era cercata. Quindi, era auspicabile che la smettesse di straziargli i timpani con i suoi ragli da somaro qual era. E poi, c'era quel dannato cigolio che accompagnava il montacarichi nella sua lunga, interminabile discesa. Non aveva mai tollerato i suoni stridenti. Il luogo dove lo stavano portando non aveva la fama di essere il miglior posto dove recarsi per un viaggio di piacere. Tuttavia, non ne poteva più dello spigolo, della posizione, ma soprattutto di quell'odore ripugnante e di quei piagnistei. Così, quando finalmente le stramaledette carrucole smisero di cigolare, si ritrovò a sentirsi addirittura grato di aver raggiunto la destinazione.
Ci fu un rumore di catene che venivano liberate e di grate metalliche che venivano aperte. E poi, sbuffi e mugugni di sforzo: gli scaricatori si erano messi all'opera. Passati alcuni minuti, durante i quali sentì sempre meno cose premergli contro, fu issato da mani assai poco gentili e condotto per qualche passo lungo una passerella di legno: fletteva sotto il suo peso. Inoltre, era scalzo: non poteva sbagliarsi. Non sapeva esattamente cosa lo aspettasse lì sotto, il formicolio alle gambe gli rendeva difficile la postura eretta, ma già il fatto di non dover più respirare quella puzza di sudore gli fu assai gradito. Certo, quel dannato buco in cui l'avevano condotto non profumava di prati in fiore: c'era tanfo di chiuso e sentore di muffa. Tuttavia, al suo naso, nulla risultava più sgradito dell'odore delle persone: soprattutto, se non si erano lavate e improfumate a dovere. A dirla tutta, a malapena sopportava il suo, di odore.
Se sul piano olfattivo le cose andavano un pochettino meglio, lo stesso non poteva dirsi su quello uditivo. Certo, il terribile cigolio non c'era più. Però, lo avevano legato a una ringhiera proprio accanto a quella stupida donna che non voleva saperne di smettere di urlare, singhiozzare e disperarsi.
Iniziò una sequenza di rumori di vesti strappate e stanchi mugugni di protesta. Infine, spogliarono pure lui. Completamente. Almeno, gli tolsero anche la benda.
La sua prima preoccuapazione fu guardare in che stato fosse il suo corpo. Abbassò lo sguardo su se stesso e si pentì subito di poter nuovamente vedere. Era sporco, logoro, pieno di lividi. In una sola parola, disgustoso. Il suo bel fisico, la sua ragione di vita, ciò che curava più di ogni altra cosa, ridotto in quella maniera! Un profondo senso di nausea irruppe nelle sue viscere e con esso, odio e desiderio di rivalsa. Ciò che provò fu talmente viscerale che sentì la lucidità sfuggirgli di mano e la mente deragliare verso la pazzia. Reagì giusto in tempo per strozzare in gola un urlo: non si sarebbe mai perdonato una così plateale caduta di stile. Non doveva ridursi come quei mentecatti che stavano condividendo il suo stesso destino. Ciascuno di loro non valeva una sua unghia. Meglio volgere gli occhi altrove, pensare ad altro. Si impose di guardarsi intorno: lo sguardo voleva abbassarsi a contemplare il suo declino, ma in qualche modo riuscì a impedirglielo.
Cominciò a studiare l’ambiente circostante per farsi un'idea di che aspetto avesse l’inferno. Il primo istinto fu quello di guardare in alto a raggiungere, almeno con la vista, la via di uscita. Il Pozzo era una voragine di sezione pressapoco circolare e ampia quanto la piazza della Capitale. L’accesso non era che un piccolo cerchietto vagamente più luminoso, diverse miglia più in alto. Sapeva che fosse pieno giorno, lassù, eppure quel posto era così profondo che persino la luce del sole non aveva possanza sufficiente per irrompervi. O forse, non abbastanza ardire.
Comunque, quell’antro non era buio. Certo, non era esattamente luminoso, ma ci si vedeva abbastanza bene. Conosceva quel tipo di luce e vederla in un posto del genere faceva uno strano effetto: vi erano ben tre lampade a latentio. Si trattava di gingilli assai costosi e li si trovavano solo nelle dimore dei nobili più facoltosi, oppure venivano usati per illuminare a giorno le grandi sale da ballo durante ricevimenti reali… i balli di corte, al solo rievocarli, ebbe un tuffo al cuore e per un attimo perse il controllo. Così, si ritrovò nuovamente a contemplare con strazio il suo misero aspetto. Strinse la mascella fino a far stridere i denti e guardò in basso al di là dei suoi piedi. Era su una passerella sospesa sulla voragine. Ce ne erano decine simili sotto di lui che formavano un orrido reticolo privo di ogni ordine o armonia architettonica. Pensava di aver raggiunto il fondo del Pozzo, ma non era così: quella dannata voragine scendeva ancora giù a perdita d'occhio.
Un buon profumo d'arancia attirò la sua attenzione. Uno scaricatore, grosso e sudato come un maiale, gli passò accanto trasportando una cassa di agrumi. Dietro di lui, un'altro bestione portava in spalla un quarto di manzo.
<<Non lì, stupidi muli! Quella roba va portata nella dispensa del Palazzo. Le merci contrassegnate con la corona sono destinate al Doge, quando lo imparerete?>> blaterò un uomo armato di stocco e schioppo. Forse era un militare o qualcosa del genere, visto che portava un cencio scuro che assomigliava vagamente alla divisa di un ufficiale di marina. Faceva sfoggio persino di un paio lustrini di bigiotteria che facevano il verso ai gradi. Il berretto, simile a un elmetto, era zuppo di sudore che dalla testa grondava copioso sul volto sottile e fastidiosamente asimmetrico. In quello schifo di posto, faceva caldo, un caldo umido ai limiti della sopportazione ed era impossibile non sudare. Figurarsi, con quel ridicolo vestiario.
Seguì con lo sguardo il percorso degli scaricatori e li vide imboccare una passerella che menava a uno dei tanti varchi scavati nelle pareti verticali, l'unico che aveva l'accesso decorato da un arco di granito scolpito con dei bassorilievi. La merce migliore prese la via del Palazzo, quella più scadente venne depositata sull'ampia passerella, tra questa c'erano anche lui e le altre quattro persone. Si voltò a osservare la giovane donna accanto a lui, quella che non voleva smetterla di frignare. La prominenza sul ventre esposto non lasciava dubbi: era incinta. Poi, c’era un ragazzino smilzo e lentigginoso dai capelli rossi e scapigliati, una signora di mezza età dagli orribili seni cadenti. E infine, l'omone corpulento che le guardie del “piano di sopra” avevano ridotto a un ammasso di ematomi.
L'uomo in divisa fece cenno a un suo sottoposto. <<Qui, abbiamo finito. Vai ad avvertire il Gran Gerente Aaron Mansyl!>> ordinò.
Non passò molto che un uomo minuto dal fare impettito fece capolino sulla passerella. Al suo seguito, una scorta di bruti armati di coltellaccio e sciabola. Aveva un volto da cornacchia incorniciato da una stupida parrucca con sei boccoli azzurrini. Indossava un paio di calzoni rosso scuro a quadri grossi, una camicia bianca plissettata con sopra una giacca leggera a tese lunghe di colore blu. Gli stivali erano di pelle buona e tirati a lucido. Vestiti pregiati, degni di un capitano di vascello. Avrebbe potuto essere addirittura elegante se non fosse stato per il pessimo gusto negli abbinamenti. In mano, brandiva un pennello. Tanta ridicola magnificenza strideva con il rozzo vestiario sfoggiato dagli energumeni della sua scorta: giustacuore a vista su petto nudo e calzoni larghi a mezza gamba. Insomma, lupi di mare nelle profondità della terra. Lo strano comitato, inoltre, era composto di due inservienti recanti rispettivamente un secchiello contente vernice rossa e l'altro, verde.
Il Gran Gerente prese a passare in rassegna le casse di merce, bisbigliava tra sé e sé alcune considerazioni, infine, intingeva il pennello in uno dei due colori e vi apponeva un segno. In un caso non fece nessuna delle due cose: <<Immondizia!>> blaterò con una smorfia di disapprovazione e subito, una guardia la spinse con un calcio giù per il baratro. Lo schianto si udì molto tempo dopo e in maniera appena percettibile.
Infine, giunse a valutare il materiale umano. Dinanzi all'omone pestato, Mansyl, rimase un po' interdetto sul da farsi. <<Maledetti, cielintesta! Non mi sembra di aver inviato loro merce danneggiata!>> imprecò. Poi, si decise e, con rabbia, lo segnò di rosso. <<Almeno, sembra robusto>> concluse tra sé.
<<Per tutti gli dei. E' brutta come uno scorfano! Fatemi la grazia di coprirla con qualcosa!>> Con ripugnanza, segno anche la donna di mezza età con il rosso.
<<Persino i mocciosi ci mandano!>> Di rosso anche il ragazzino.
Si pose dinanzi alla donna incinta e la sua espressione mutò dal disgustato al furente. <<Questo è troppo!>> le urlo in faccia.
<<La prego Signore! Mi faccia finire il tempo e poi lavorerò con tutte le mie forze. Penserò io al bambino, non vi darò alcun problema>> implorò senza smettere di singhizzare.
Mansyl divenne paonazzo. <<Immondizia! Fottuta immondizia!>> ringhiò con voce tremante di rabbia. Uno degli uomini della sua scorta, con meccanica indifferenza, sfilò il coltellaccio dalla cintola, le tagliò i legacci che la assicuravano al parapetto, poi le rifilò un calcio in pieno ventre mandando anche lei a fracellarsi nel baratro. La donna precipitò con uno straziante urlo disperato. Per fortuna fu l'ultimo. In prima istanza, quel pagliaccio del Gran Gerente non gli era piaciuto affatto, ma gli fu talmente grato per averlo liberato dall'assilo di quella piagnucolona, che finì quasi per prenderlo in simpatia. Ne provò addirittura per il bruto che aveva eseguito l'ordine.
<<Dannati, cielointesta! Noi gli mandiamo su due casse piene latentio purissimo, lantentio estratto con grande fatica e impiego di risorse, e loro cosa ci danno in cambio? Robaccia. Solo della fottuta robaccia che tutta insieme non vale che una scheggia delle nostre pepite! Se ne approfittano che qua sotto non abbiamo un cazzo!>> Poi, indicò con un gesto lo spazio vuoto lasciato dalla donna, scosse la testa incredulo, recuperò la calma inspirando profondamente e si pose dinanzi a l'ultimo uomo rimasto, lui.
Lo osservò per un lungo istante annuendo con un accenno di soddisfazione. Fece per intingere il pennello nel verde, ma poi, ci ripensò all'ultimo momento e marchiò di rosso anche lui. Come tutta l'altra feccia. <<Con questo faccino qua, non può che essere una checca>> stabilì convinto. Terminato il suo lavoro, se ne andò.
Una checca? Lui, l'uomo perfetto, preso per un invertito! Quel poco di gratitudine che aveva provato verso il tizio che lo aveva liberato dal tedio di quella straziatimpani andò a farsi fottere definitivamente.

<<E ora mi raccomando, marmaglia senza cervello, le merci con il marchio verde vanno portate allo spaccio dei quartieri alti, mentre le altre al mercato dei bassifondi. E non sbagliate!>> Gli ordini del militare sudaticcio lo riportarono alla realtà e si sorprese con i denti digrignati per la rabbia dell'affronto subito e con del nuovo sudore a lordare il suo bel volto. Quel posto lo stava mettendo a dura prova; tuttavia, non avrebbe permesso a niente e nessuno di intaccare la sua autostima.

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