Il comitato di benvenuto.
Aveva lo spigolo di un qualcosa di duro che gli
premeva sul fianco e, schiacciato sulla faccia, qualcos'altro di più
morbido, che gli rendeva difficile persino respirare. Era bendato,
quindi non poteva capire di cosa si trattasse esattamente: poteva
essere una natica, una pancia, forse una grossa tetta, ma di sicuro
puzzava di sudore da far vomitare. In realtà, aveva cose un po'
dappertutto che, insieme ai legacci, lo costringevano in una posa
scomposta. Come se non bastasse, qualcuno degli altri passeggeri, una
donna, piangeva e singhiozzava senza soluzione di continuità e un
altro tizio guaiva di dolore e rantolava imprecazioni. Doveva
trattarsi di quel coglione che aveva sputato in faccia ai carcerieri:
se l'avevano ridotto male, se l'era cercata. Quindi, era auspicabile
che la smettesse di straziargli i timpani con i suoi ragli da somaro
qual era. E poi, c'era quel dannato cigolio che accompagnava il
montacarichi nella sua lunga, interminabile discesa. Non aveva mai
tollerato i suoni stridenti. Il luogo dove lo stavano portando non
aveva la fama di essere il miglior posto dove recarsi per un viaggio
di piacere. Tuttavia, non ne poteva più dello spigolo, della
posizione, ma soprattutto di quell'odore ripugnante e di quei
piagnistei. Così, quando finalmente le stramaledette carrucole
smisero di cigolare, si ritrovò a sentirsi addirittura grato di aver
raggiunto la destinazione.
Ci fu un rumore di catene che venivano liberate
e di grate metalliche che venivano aperte. E poi, sbuffi e mugugni di
sforzo: gli scaricatori si erano messi all'opera. Passati alcuni
minuti, durante i quali sentì sempre meno cose premergli contro, fu
issato da mani assai poco gentili e condotto per qualche passo lungo
una passerella di legno: fletteva sotto il suo peso. Inoltre, era
scalzo: non poteva sbagliarsi. Non sapeva esattamente cosa lo
aspettasse lì sotto, il formicolio alle gambe gli rendeva difficile
la postura eretta, ma già il fatto di non dover più respirare
quella puzza di sudore gli fu assai gradito. Certo, quel dannato buco
in cui l'avevano condotto non profumava di prati in fiore: c'era
tanfo di chiuso e sentore di muffa. Tuttavia, al suo naso, nulla
risultava più sgradito dell'odore delle persone: soprattutto, se non
si erano lavate e improfumate a dovere. A dirla tutta, a malapena
sopportava il suo, di odore.
Se
sul piano olfattivo le cose andavano un pochettino meglio, lo stesso
non poteva dirsi su quello
uditivo. Certo, il
terribile cigolio non c'era più. Però, lo avevano legato a una
ringhiera proprio accanto a quella stupida donna che non voleva
saperne di smettere di urlare, singhiozzare e disperarsi.
Iniziò
una sequenza di rumori di vesti strappate e stanchi mugugni di
protesta. Infine, spogliarono pure lui. Completamente. Almeno, gli
tolsero anche la benda.
La
sua prima preoccuapazione fu guardare in che stato fosse il suo
corpo. Abbassò lo sguardo su se stesso e si pentì subito di poter
nuovamente vedere. Era sporco, logoro, pieno di lividi. In una sola
parola, disgustoso. Il suo bel fisico, la sua ragione di vita, ciò
che curava più di ogni altra cosa, ridotto in quella maniera! Un
profondo senso di nausea irruppe nelle sue viscere e con esso, odio e
desiderio di rivalsa. Ciò che provò fu talmente viscerale che sentì
la lucidità sfuggirgli di mano e la mente deragliare verso la
pazzia. Reagì giusto in tempo per strozzare in gola un urlo: non si
sarebbe mai perdonato una così plateale caduta di stile. Non doveva
ridursi come quei mentecatti che stavano condividendo il suo stesso
destino. Ciascuno di loro non valeva una sua unghia. Meglio volgere
gli occhi altrove, pensare ad altro. Si impose di guardarsi intorno:
lo sguardo voleva abbassarsi a contemplare il suo declino, ma in
qualche modo riuscì a impedirglielo.
Cominciò
a studiare l’ambiente circostante per farsi un'idea di che aspetto
avesse l’inferno. Il primo istinto fu quello di guardare in alto a
raggiungere, almeno con la vista, la via di uscita. Il Pozzo era una
voragine di sezione pressapoco circolare e ampia quanto la piazza
della Capitale. L’accesso non era che un piccolo cerchietto
vagamente più luminoso, diverse miglia più in alto. Sapeva che
fosse pieno giorno, lassù, eppure quel posto era così profondo che
persino la luce del sole non aveva possanza sufficiente per
irrompervi. O forse, non abbastanza ardire.
Comunque,
quell’antro non era buio. Certo, non era esattamente luminoso, ma
ci si vedeva abbastanza bene. Conosceva quel tipo di luce e vederla
in un posto del genere faceva uno strano effetto: vi erano ben tre
lampade a latentio. Si trattava di gingilli assai costosi e li si
trovavano solo nelle dimore dei nobili più facoltosi, oppure
venivano usati per illuminare a giorno le grandi sale da ballo
durante ricevimenti reali… i balli di corte, al solo rievocarli,
ebbe un tuffo al cuore e per un attimo perse il controllo. Così, si
ritrovò nuovamente a contemplare con strazio il suo misero aspetto.
Strinse la mascella fino a far stridere i denti e guardò in basso al
di là dei suoi piedi. Era su una passerella sospesa sulla voragine.
Ce ne erano decine simili sotto di lui che formavano un orrido
reticolo privo di ogni ordine o armonia architettonica. Pensava di
aver raggiunto il fondo del Pozzo, ma non era così: quella dannata
voragine scendeva ancora giù a perdita d'occhio.
Un
buon profumo d'arancia attirò la sua attenzione. Uno scaricatore,
grosso e sudato come un maiale, gli passò accanto trasportando una
cassa di agrumi. Dietro di lui, un'altro bestione portava in spalla
un quarto di manzo.
<<Non
lì, stupidi muli! Quella roba va portata nella dispensa del Palazzo.
Le merci contrassegnate con la corona sono destinate al Doge, quando
lo imparerete?>> blaterò un uomo armato di stocco e schioppo.
Forse era un militare o qualcosa del genere, visto che portava un
cencio scuro che assomigliava vagamente
alla divisa di un ufficiale di marina. Faceva sfoggio persino di
un paio lustrini di bigiotteria che facevano il verso ai gradi. Il
berretto, simile a un elmetto,
era zuppo di sudore che dalla testa grondava copioso sul volto
sottile e fastidiosamente asimmetrico. In quello schifo di posto,
faceva caldo, un caldo umido ai limiti della sopportazione ed era
impossibile non sudare. Figurarsi, con quel ridicolo vestiario.
Seguì
con lo sguardo il percorso degli scaricatori e li vide imboccare una
passerella che menava a uno dei tanti varchi scavati nelle pareti
verticali, l'unico che aveva l'accesso decorato da un arco di granito
scolpito con dei bassorilievi. La merce migliore prese la via del
Palazzo, quella più scadente venne depositata sull'ampia passerella,
tra questa c'erano anche lui e le altre quattro persone. Si voltò a
osservare la giovane donna accanto a lui, quella che non voleva
smetterla di frignare. La prominenza sul ventre esposto non lasciava
dubbi: era incinta. Poi, c’era un ragazzino smilzo
e lentigginoso dai capelli rossi e
scapigliati, una signora di mezza età dagli orribili seni cadenti. E
infine, l'omone corpulento che le guardie del “piano di sopra”
avevano ridotto a un ammasso di ematomi.
L'uomo
in divisa fece cenno a un suo sottoposto. <<Qui, abbiamo
finito. Vai ad avvertire il Gran Gerente Aaron Mansyl!>>
ordinò.
Non
passò molto che un uomo minuto dal fare impettito fece capolino
sulla passerella. Al suo seguito, una scorta di bruti armati di
coltellaccio e sciabola. Aveva un volto da cornacchia incorniciato da
una stupida parrucca con sei boccoli azzurrini. Indossava un paio di
calzoni rosso scuro a quadri grossi, una camicia bianca plissettata
con sopra una giacca leggera a tese lunghe di colore blu. Gli stivali
erano di pelle buona e tirati a lucido. Vestiti pregiati, degni di un
capitano di vascello. Avrebbe potuto essere addirittura elegante se
non fosse stato per il pessimo gusto negli abbinamenti. In mano,
brandiva un pennello. Tanta ridicola magnificenza strideva con il
rozzo vestiario sfoggiato dagli energumeni della sua scorta:
giustacuore a vista su petto nudo e calzoni larghi a mezza gamba.
Insomma, lupi di mare nelle profondità della terra. Lo strano
comitato, inoltre, era composto di due inservienti recanti
rispettivamente un secchiello contente vernice rossa e l'altro,
verde.
Il
Gran Gerente prese a passare in rassegna le casse di merce,
bisbigliava tra sé e sé alcune considerazioni, infine, intingeva il
pennello in uno dei due colori e vi apponeva un segno. In un caso non
fece nessuna delle due cose: <<Immondizia!>> blaterò con
una smorfia di disapprovazione e subito, una guardia la spinse con un
calcio giù per il baratro. Lo schianto si udì molto tempo dopo e in
maniera appena percettibile.
Infine,
giunse a valutare il materiale umano. Dinanzi all'omone pestato,
Mansyl, rimase un po' interdetto sul da farsi. <<Maledetti,
cielintesta! Non mi sembra di aver inviato loro merce danneggiata!>>
imprecò. Poi, si decise e, con rabbia, lo segnò di rosso. <<Almeno,
sembra robusto>> concluse tra sé.
<<Per
tutti gli dei. E'
brutta come uno scorfano!
Fatemi la grazia di coprirla con qualcosa!>> Con ripugnanza,
segno anche la donna di mezza età con il rosso.
<<Persino
i mocciosi ci mandano!>> Di rosso anche il ragazzino.
Si
pose dinanzi alla donna incinta e la sua espressione mutò dal
disgustato al furente. <<Questo è troppo!>> le urlo in
faccia.
<<La
prego Signore! Mi faccia finire il tempo e poi lavorerò con tutte le
mie forze. Penserò io al bambino, non vi darò alcun problema>>
implorò senza smettere di singhizzare.
Mansyl
divenne paonazzo. <<Immondizia! Fottuta immondizia!>>
ringhiò con voce tremante di rabbia. Uno degli uomini della sua
scorta, con meccanica indifferenza, sfilò il coltellaccio dalla
cintola, le tagliò i legacci che la assicuravano al parapetto, poi
le rifilò un calcio in pieno ventre mandando anche lei a fracellarsi
nel baratro. La donna precipitò con uno straziante urlo disperato.
Per fortuna fu l'ultimo. In prima istanza, quel pagliaccio del Gran
Gerente non gli era piaciuto affatto, ma gli fu talmente grato per
averlo liberato dall'assilo di quella piagnucolona, che finì quasi
per prenderlo in simpatia. Ne provò addirittura per il
bruto che aveva eseguito l'ordine.
<<Dannati,
cielointesta! Noi gli mandiamo su due
casse piene latentio purissimo, lantentio
estratto con grande fatica e impiego di risorse,
e loro cosa ci danno in cambio?
Robaccia. Solo della fottuta robaccia
che tutta insieme non vale che una scheggia delle nostre pepite! Se
ne approfittano che qua sotto non abbiamo un cazzo!>> Poi,
indicò con un gesto lo spazio vuoto lasciato dalla donna, scosse la
testa incredulo, recuperò la calma inspirando profondamente e si
pose dinanzi a l'ultimo uomo rimasto, lui.
Lo
osservò per un lungo istante annuendo con un accenno di
soddisfazione. Fece per intingere il pennello nel verde, ma poi, ci
ripensò all'ultimo momento e marchiò di rosso anche lui. Come tutta
l'altra feccia. <<Con questo faccino qua, non può che essere
una checca>> stabilì convinto. Terminato il suo lavoro, se ne
andò.
Una
checca? Lui, l'uomo perfetto, preso per un invertito! Quel poco di
gratitudine che aveva provato verso il tizio che lo aveva liberato
dal tedio di quella straziatimpani andò a farsi fottere
definitivamente.
<<E
ora mi raccomando, marmaglia senza
cervello, le merci con il marchio verde vanno portate allo spaccio
dei quartieri alti, mentre le altre al mercato dei bassifondi. E non
sbagliate!>> Gli ordini del militare sudaticcio lo riportarono
alla realtà e si sorprese con i denti digrignati per la rabbia
dell'affronto subito e con del nuovo sudore a lordare il suo bel
volto. Quel posto lo stava mettendo a dura prova; tuttavia,
non avrebbe permesso a niente e nessuno di intaccare la sua
autostima.
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